Interposizione fittizia: Trust e Società

di Federico Cocchi, Alessandra Cocchi e Davide Greco

 

Nel presente approfondimento di studio cercheremo di comprendere il perimetro – ai fini tributari – della c.d. interposizione fittizia canalizzando il nostro interesse, principalmente, su due ipotesi di interposizione. Trattasi, in particolare, dei casi in cui soggetto interposto sia un trust ovvero un veicolo societario.

Premessa a quanto verrà spiegato poco sotto è che il fenomeno dell’interposizione fittizia viene contrastato dal nostro ordinamento per il tramite dell’articolo 37, comma 3, del DPR 600/1973 secondo cui “[i]n sede di rettifica o di accertamento d’ufficio sono imputati al contribuente i redditi di cui appaiono titolari altri soggetti quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”.

In altri termini, trattasi di fattispecie che si verifica quando l’effettivo possessore del reddito, per il tramite di accordi simulatori, fa apparire titolare del reddito un terzo interposto, che opera quale schermo.

Compreso, quindi, che il fenomeno dell’interposizione fittizia cade all’interno della macrocategoria dell’elusione fiscale con la possibilità, nei casi più gravi, di configurare ipotesi di frode fiscale concentriamoci adesso sulle ipotesi in cui, come detto, soggetto interposto sia un trust ovvero un veicolo societario.

Trust

Il tema del trust interposto è stato per la prima volta attenzionato dagli Uffici dell’Amministrazione finanziaria nella Circolare ministeriale 43/2009 in materia di scudo fiscale. In quell’occasione, l’Agenzia delle Entrate ebbe modo di precisare che un trust si sarebbe dovuto considerare interposto in tutti quei casi in cui le attività facenti parte del patrimonio del trust continuino ad essere a disposizione del settlor oppure rientrino nella disponibilità dei beneficiari. In particolare, l’Agenzia ebbe modo di individuare cinque fattispecie che a loro giudizio avrebbero configurato fattispecie di trust interposto.

Trattasi, in particolare:

  1. trust che il disponente (o il beneficiario) può far cessare liberamente in ogni momento, generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi;
  1. trust in cui il disponente è titolare del potere di designare in qualsiasi momento sé stesso come beneficiario;
  1. trust in cui il disponente (o il beneficiario) è titolare di significativi poteri in forza dell’atto istitutivo, in conseguenza dei quali il trustee, pur dotato di poteri discrezionali nella gestione ed amministrazione del trust, non può esercitarli senza il suo consenso;
  1. trust in cui il disponente è titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust, designando se stesso e/o altri come beneficiari (cosiddetto “trust a termine”);
  1. trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere anticipazioni di capitale dal trustee.

Successivamente, nella Circolare n. 61/E del 27 dicembre 2010 (di seguito, anche, “Circolare 61/E/2010”), gli Uffici sono tornati, per così dire, alla carica ampliando la casistica di trust interposti delineata l’anno precedente. Con le integrazioni del 2010, infatti, le fattispecie – individuate dall’Agenzia delle Entrate –  di trust interposto, sono arrivate sino a 8 (più  una fattispecie di chiusura). Trattasi delle ipotesi di:

  1. trust in cui il disponente o il beneficiario possano far cessare il trust liberamente in ogni momento, generalmente a proprio vantaggio o anche a vantaggio di terzi;
  2. trust in cui il disponente sia titolare del potere di designare in qualsiasi momento sé stesso come beneficiario;
  3. trust in cui il trustee non possa esercitare i propri poteri senza il consenso del disponente o del beneficiario;
  4. trust in cui il disponente sia titolare del potere di porre termine anticipatamente al trust, designando sé stesso e/o altri come beneficiari;
  5. trust in cui il beneficiario ha diritto di ricevere attribuzioni di patrimonio dal trustee;
  6. trust in cui il trustee debba tener conto delle indicazioni fornite dal disponente in relazione alla gestione del patrimonio e del reddito da questo generato;
  7. trust in cui il disponente possa modificare i beneficiari nel corso della vita del trust;
  8. trust in cui il disponente possa indicare soggetti ai quali il trustee debba concedere prestiti.

Con una clausola di chiusura, l’Agenzia (come detto) è giunta poi ad affermare, più in generale, che il trust sia da considerare fiscalmente interposto in tutti i casi in cui i poteri del trustee risultino limitati in tutto o in parte, o anche soltanto meramente condizionati, dall’ingerenza del disponente o dei beneficiari.

Ampliato nel 2010 il numero delle fattispecie, per circa 10 anni l’Amministrazione finanziaria non è più tornata sul tema fino al 2019 quando, con Risposta ad Interpello n. 381 dell’11 settembre (di seguito, anche, “Risposta 381/2019”), è tornata ad affrontare il tema interposizione questa volta, però, non più con Circolare ma con Interpello.

Il caso aveva ad oggetto l’utilizzo di un trust istituito per favorire il passaggio generazionale attraverso la segregazione di quote sociali, beni immobili e liquidità a favore delle figlie del disponente e dei loro discendenti. A giudizio dell’Amministrazione finanziaria, il trust in questione si sarebbe dovuto considerare interposto a causa della presenza di poteri “autorizzatori” esclusivi in capo al disponente che, di fatto, esautoravano il trustee dal potere di amministrazione e gestione del trust.

Successivamente, per circa due anni, l’Amministrazione finanziaria non è più stata chiamata ad occuparsi del tema almeno fino al 2021 anno in cui, per ben due volte, gli Uffici sono stati coinvolti su questioni di interposizione riguardanti il trust.

Una prima volta, nella Risposta n. 398 del 10 giugno 2021 (di seguito, anche “Risposta 398/2021”), ove gli Uffici hanno confermato che costituisce ipotesi di trust interposto quella in cui l’attività del trustee risulti eterodiretta dalle istruzioni vincolanti riconducibili al disponente o ai beneficiari e, una seconda volta, nella Risposta n. 796 del 1° dicembre 2021 (di seguito, anche, “Risposta 796/2021”) ove è stato chiarito che costituisce ipotesi di trust interposto quello in cui i beneficiari possono ingerirsi nella gestione del patrimonio del trust per il tramite del guardiano titolare di poteri troppo invasivi. L’Agenzia delle Entrate, infatti, dichiarò il trust interposto in ragione dell’asserito potere dei beneficiari di ingerirsi indirettamente nella gestione del patrimonio del trust attraverso il guardiano, il cui parere o consenso doveva essere preventivamente ottenuto dal trustee per il compimento di taluni atti di gestione del patrimonio del trust.

Da ultimo, l’Agenzia delle Entrate nella recentissima Circolare 34/E pubblicata in data 20 ottobre 2022 (di seguito, anche, “Circolare 34/E/2022”) è nuovamente tornata ad occuparsi del tema “interposizione trust” offrendo interessanti spunti di cui riteniamo utile e doveroso dare riscontro.

L’Agenzia ha subito chiarito che, effetto principale della accertata interposizione fittizia di un trust, è l’imputazione in capo al soggetto interponente (residente in Italia), sia esso disponente ovvero beneficiario, del reddito di cui “appariva titolare” il trust interposto secondo le categorie previste dall’articolo 6 del TUIR.

Conseguenza di quanto sopra, sempre secondo gli Uffici, è che le attribuzioni effettuate dal trust interposto non dovrebbero (il condizionale in questi casi è d’obbligo) generare redditi imponibili per il beneficiario a condizione che e nella misura in cui tali attribuzioni derivino da redditi che, in ragione dell’interposizione del trust, siano già stati assoggettati ad imposizione direttamente in capo all’interponente residente in Italia.

Se, quindi, ai fini reddituali l’accertata interposizione di un trust determina quale conseguenza principale l’imputazione dei redditi dal trust al reale beneficiario degli stessi (sia esso il disponente ovvero il beneficiario) ai fini della fiscalità successoria, invece, l’effetto principale è che in caso di decesso del soggetto disponente  tra i beni e i diritti che compongono l’attivo ereditario di cui all’articolo 8 del TUS sono inclusi anche quelli formalmente nella titolarità del trust qualificato come interposto. Secondo l’Agenzia, in altri termini, l’accertata interposizione del trust determinerà quale conseguenza immediata la “re-inclusione” dei beni e diritti fittiziamente apportati in trust nel patrimonio del disponente.

Altra conseguenza, ancorché evidenziata sibillinamente (solo in nota), è che qualora sia accertata l’interposizione e che soggetto interponente sia il disponente resterà ferma la rilevanza, ai fini dell’imposta sulle successioni e donazioni, delle attribuzioni effettuate dal trustee al beneficiario, comprensive anche dei redditi imponibili già tassati ai fini delle imposte sui redditi. Tale effetto costituisce una conseguenza naturale della dichiarazione di interposizione. Infatti, i redditi generati dagli asset apportati in trust andranno ad incrementare il patrimonio del disponente interponente con la conseguenza di costituire per il beneficiario quota parte dell’attribuzione ricevuta. Attribuzione da assoggettare integralmente ad imposta di successione e donazione (ovviamente per la parte eccedente le franchigie previste per legge).

Società

Chiarito il perimetro ed i limiti dell’interposizione fittizia in materia di trust anche e soprattutto attraverso il supporto della copiosa documentazione di prassi pubblicata sin dal 2009 sul tema, non ci resta che occuparci di interposizione riferita, questa volta, alle società.

L’interposizione fittizia societaria è fenomeno da ricondurre, senza ombra di dubbio, all’interno del mondo “frode fiscale”. A spiegarcelo è la Corte di Cassazione in una recente ordinanza, la numero 5276 pubblicata in data 17 febbraio 2022 e relativa ad un caso di contestazione di interposizione fittizia ai danni di una società cooperativa.

A giudizio della Suprema Corte, la contestazione di interposizione fittizia richiede “una prova alquanto rigorosa che dimostri il totale asservimento della società interposta all’interponente, tale da dimostrare la relazione di fatto tra l’interponente e la fonte di reddito del soggetto imprenditoriale interposto”.

Stando così le cose, la domanda che sorge spontanea è in quali ipotesi si possa ritenere verificato il “totale asservimento della società interposta all’interponente”. Secondo autorevole dottrina “[a]lla nozione di “totale asservimento della società interposta all’interponente” (…) si possono (…) associare, senza pretesa di essere esaustivi, alcuni indicatori di siffatta situazione, che consiste, in definitiva, nella riduzione della società al ruolo di mero fantoccio”. Si veda, prosegue l’autore, sempre a titolo esemplificativo i “casi nei quali: i soci sono pupazzi nelle mani di qualcuno che è rimasto al di fuori della compagine e che ha messo a disposizione i denari in vista del conferimento; i programmi imprenditoriali non sono delineati dagli amministratori, che rimangono in concreto del tutto spogliati di qualsiasi potere decisionale; le modalità di esecuzione dei piani aziendali non sono fissate da chi è investito del potere di rappresentanza della società, bensì da un soggetto – di nuovo – esterno alla società stessa e giuridicamente sfornito del suddetto potere; gli utili sono distribuiti non sulla base delle determinazioni dell’assemblea, ma in ragione delle decisioni assunte dal dominus esterno, che può disporne a piacimento. Si veda al riguardo, nel corpo dell’ordinanza, il puntuale (ma meramente segnaletico e non certo dirimente) riferimento alla possibilità di utilizzare “liberamente” i conti correnti delle cooperative (…)”.

Da quanto si legge è facile ritenere che  la possibilità di contestare una c.d. interposizione fittizia in ambito societario non è, per cosi dire, cosa semplice. Trattasi, infatti, di casi (fattispecie) rare che – come chiarito della Suprema Corte – necessitano di prove rigorose volte a dimostrare il totale asservimento della società a interessi totalmente individuali dell’interponente svilendo la società interposta a mero schermo o, come ci capita leggere, a società c.d. paravento.

 

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