Ancora su alcune incongruenze connesse all’assimilazione dei trusts ad enti non commerciali
Alberto Righini
Se i trusts esteri vengono equiparati a quelli nazionali, e non è necessario l’effettivo assoggettamento a imposizione dei redditi del trust, possono verificarsi situazioni distorsive rispetto alla diretta percezione dei dividendi da parte di persone fisiche. Infatti, il trust, in quanto ente non commerciale, tasserebbe i dividendi solo sul 5%, mentre la successiva distribuzione ai beneficiari avverrebbe in totale franchigia di imposta. In sostanza verrebbe così «saltata», sui dividendi di società estere percepiti per il tramite di un trust, la fase della tassazione sui percettori, che si sarebbe invece verificata se i dividendi fossero stati percepiti direttamente. Lo stesso avviene anche per i dividendi di società italiane, ma in questo caso si è almeno verificata, «a monte», la tassazione sulla società.
Le particolarita` del trust come «veicolo»
rispetto alla generalita` degli enti non commerciali
Nel precedente n. 4/2008, mi ero soffermato, assieme a Stevanato e Lupi, su una possibile incongruenza nell’imposizione diretta del trust e dei suoi beneficiari, con particolare riferimento a trusts non residenti. Mi riferivo all’eventualità che il trust, non residente, non avesse perciò pagato imposte in Italia, e mi ponevo il problema della tassazione o meno del beneficiario; mi riallacciavo in proposito alla circolare dell’Agenzia delle entrate 6 agosto 2007, n. 48/E (1) secondo cui l’irrilevanza fiscale delle attribuzioni al beneficiario serviva a scongiurare una doppia imposizione rispetto a quella avvenuta sul trust. Mi chiedevo quindi cosa accadeva se l’imposizione sul trust non era avvenuta, in quanto si trattava di un trust non residente.
Più in generale volevo notare che il problema si pone per il riconoscimento di un’autonoma tassazione in capo ai trusts (inclusione tra i soggetti passivi IRES ex art. 73, comma 1, lettere b, c, d, del T.U.I.R.).
Questo comporta una necessita` logica di coordinamento con il regime fiscale dei beneficiari.
Al fine di evitare doppie imposizioni, l’interpretazione ministeriale (2) esclude rilevanza reddituale alla effettiva percezione dei redditi da parte dei beneficiari, considerandola una mera movimentazione finanziaria
ininfluente ai fini della determinazione del reddito. Sulla base dello stesso principio (evitare la doppia imposizione), l’Amministrazione chiarisce ancora che nell’eventualità`, peraltro non infrequente, che i beneficiari di un trust siano identificati successivamente, «i redditi conseguiti e correttamente tassati in capo al trust prima della individuazione dei beneficiari (quando il trust era «opaco»), non possono scontare una nuova imposi-
zione in capo a questi ultimi a seguito della loro distribuzione».
Nel mio scritto, pubblicato per un disguido in una versione ancora preliminare, sostenevo che il meccanismo del sistema di imposizione trust-beneficiari prevedeva una simmetria concreta nell’assolvimento delle imposte. In particolare, semplificando, solo quando le imposte erano effettivamente assolte «a monte» dal trust (sistema del trust opaco), sulle eventuali erogazioni, i beneficiari non scontano imposte.
Rilevavo che in ambito internazionale, dove le accezioni di trust opaco e trasparente fanno fatica a ritrovarsi, queste simmetrie non funzionavano, ed ipotizzavo che quanto distribuito da un trust non residente, se non e` stato soggetto a tassazione in capo allo stesso (3), potesse tornare ad esserlo in capo ai beneficiari residenti. Questo ragionamento, a favore di una tassazione di quanto ricevuto dai beneficiari di quanto non fu tassato in capo al trust, pare supportato dall’interpretazione ministeriale (4) da cui, nell’ipotesi del trust opaco, si puo` trarre che non vi e` tassazione in capo al beneficiario in tanto in quanto vi e` stata tassazione in capo al
trust. Pertanto se cio` che giustifica la «non tassazione» in capo ai beneficiari e` l’assoggettamento ad imposta in capo al trust, e` chiaro che, laddove tale assoggettamento non c’e` stato, risulta possibile teorizzare una ne-
cessaria imposizione in capo ai beneficiari (5).
Avevo osservato che questa soluzione interpretativa, suggerita dalla necessita` di dare coerenza al sistema impositivo delineato dal legislatore, presenta pero` degli inconvenienti. Infatti, se si considera che quanto erogato da un trust residente (opaco) ai beneficiari, una volta individuati, non sconta imposta in capo a questi (6) e si ammette invece una tassazione in capo ai beneficiari per i redditi di un trust estero «opaco» (ovviamente non prodotti nello Stato), e` chiaro che si e` in presenza di una situazione penalizzante per il residente estero (7).
Ne emergevano quindi profili di contrasto con l’ordinamento comunitario perche´ si determinerebbe una discriminazione tra gli enti non residenti nello Stato (e quindi anche comunitari) e quelli residenti. Avevo in
proposito rilevato che questa diversita` di trattamento, in ambito comunitario, costituirebbe un ostacolo alla libera circolazione dei capitali all’interno dell’Unione europea per disparita` di trattamento tra i trusts interni e quelli stranieri, ancorche´ comunitari, altererebbe i meccanismi concorrenziali. Avevo anche rilevato che il trust estero, percettore di dividendi di società estere, sarebbe stato penalizzato rispetto ai trusts residenti per i quali i dividendi sono imponibili solo nella misura del 5% (8) e nessuna tassazione aggiuntiva e` prevista sul beneficiario. La tassazione sui beneficiari, persone fisiche residenti, direttamente destinatari di un dividendo estero, o per il tramite di un trust estero, sarebbe stata molto peggiore di quella dei beneficiari di un trust residente.
Nel caso di trust residente opaco sul beneficiario non grava imposizione poiche´ il trust ha gia` assoggettato ad imposizione il reddito nella misura dell’1,36% (9). Nel caso del trust non residente, poiche´ il reddito è prodotto all’estero, lo stesso non subisce imposizione in Italia in capo al trust (non e` un reddito territorialmente rilevante), ma secondo la tesi della necessità di una effettiva imposizione sul trust per esentare i beneficiari, questi ultimi sarebbero tassati sulle relative attribuzioni.
Ne sarebbe derivato un aggravio impositivo non ammissibile sul piano comunitario, anche per il principio UE della libertà di stabilimento.
Se invece, come rilevavano Lupi e Stevanato, accompagnando il mio scritto nel precedente n. 4, i trusts esteri vengono equiparati a quelli nazionali, e non è necessario l’effettivo assoggettamento a imposizione dei redditi del trust, possono verificarsi situazioni distorsive rispetto alla diretta percezione dei dividendi da parte di persone fisiche. Infatti, il trust, in quanto ente non commerciale, tasserebbe i dividendi, come sopra rilevato, solo sul 5%, mentre la successiva distribuzione ai beneficiari avverrebbe in totale franchigia di imposta. In sostanza verrebbe così «saltata», sui dividendi di società estere percepiti per il tramite di un trust, la fase della tassazione sui percettori, che si sarebbe invece verificata se i dividendi fossero stati percepiti direttamente. So bene che lo stesso avviene anche per i dividendi di società italiane, ma in questo caso si e` almeno verificata, «a monte», la tassazione sulla società`.
(1) In Corr. Trib. n. 34/2007, pag. 2785, con commento di M. Lupoi e in Banca Dati BIG, IPSOA.
(2) Circolare n. 48/E del 2007, cit., par. 4.
(3) I trusts non residenti, in applicazione dell’art. 23 del T.U.I.R., assolvono le imposte nello Stato limitatamente ai redditi (eventualmente) ivi prodotti. Peraltro trattasi di situazioni marginali nella realtà, poichè generalmente i trust esteri sono impiegati per la gestione di patrimoni e redditi
esteri, i quali ai fini impositivi sono quindi fiscalmente irrilevanti per il nostro ordinamento.
(4) Circolare n. 48/E del 2007, cit.
(5) L’ipotesi afferisce essenzialmente i redditi erogati da un trust non residente prodotti fuori dallo Stato. Infatti quando il reddito del trust estero origina da redditi prodotti in Italia, poiche´ il trust estero ha assolto le imposte nello Stato, la successiva erogazione non genera materia imponibile in capo ai beneficiari una volta individuati. Diversamente, se il reddito distribuito dal trust estero origina da redditi non prodotti in Italia, e su cui quindi lo stesso non ha assolto imposte nello Stato, non dovrebbero sussistere i presupposti per la non imponibilita` in capo ai beneficiari residenti.
(6) La circolare chiarisce esplicitamente che i redditi conseguiti e correttamente tassati in capo al trust prima della individuazione dei beneficiari (ovvero quando il trust era opaco) non possono scontare una nuova imposizione quando, una volta che i beneficiari sono stati identificati, sono distribuiti a quest’ultimi.
(7) In altri termini, esemplificando, si avrebbe che su un reddito di 100 erogato da un trust opaco ai beneficiari, una volta che questi sono stati individuati, se questo e` residente, il beneficiario percepisce un reddito su cui non paga imposte (quindi percepira` 100), mentre se il trust e` non residente il reddito concorre alla formazione dell’imponibile del beneficiario quale reddito di capitale ove scontera` le imposte secondo le aliquote personali del soggetto (quindi, supponendo l’applicazione dell’aliquota IRPEF massima del 43%, percepira` 57). Reddito d’impresa e imposte sui redditi 95
(8) Ricordiamo che l’imponibilita` limitata dei dividendi nella misura del 5% si ha sia che il trust eserciti attivita` commerciali che non. In quest’ultimo caso la limitazione e` disposta dalla norma transitoria dettata dall’art. 4, comma 1, lett. q), del D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344. In caso di utili provenienti da Paesi o territori considerati a fiscalita` privilegiata (cd. paradisi fiscali) l’indicato limite di imponibilita` non opera e i dividendi pertanto concorrono integralmente alla formazione del reddito del soggetto.
(9) Aliquota IRES del 27,5% sull’imponibile dei dividendi che e` pari al 5%.
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