Collezioni di opere d’arte: Strumenti per il trasferimento successorio ed il mantenimento dell’unitarietà

Matteo Tambalo

Investire nell’arte e nell’antiquariato, dedicandosi al collezionismo sia per desiderio sia per
opportunità, può essere un’attività che suscita passione per una vita intera.
Proprio per questo, le collezioni d’arte, che spesso sono frutto di anni di ricerca e di investimenti,
necessitano più che mai di un’adeguata ed apposita pianificazione patrimoniale e successoria.
Come è naturale che sia, l’obiettivo del collezionista è proteggere e valorizzare la propria
collezione anche nel momento di successione della stessa in favore dei propri eredi.
Tale obiettivo, deve essere coniugato con una serie di necessità, tra le quali:
– mantenere unita la collezione di opere d’arte, cosicché la stessa venga valorizzata in via
unitaria evitando la dispersione di valore;
– fino a che il collezionista è in vita, garantire il mantenimento delle scelte di investimento/
disinvestimento di opere in capo al collezionista medesimo e poi trasferire detto potere
esclusivamente a quegli eredi appassionati che hanno acquisito le competenze necessarie,
ove ve ne siano (e ciò, spesso, non è scontato) ovvero ad un soggetto terzo qualificato;
– pianificare l’impatto fiscale successorio;
– fare sì che, come sovente risulta fra le volontà del de cuius, il patrimonio artistico venga destinato
esclusivamente ai discendenti e non ai vari coniugi degli stessi o ad altri parenti acquisiti;
– evitare che eventuali e possibili futuri dissidi fra eredi possano compromettere l’unitarietà, la
corretta gestione e la valorizzazione della collezione; spesso infatti accade, ad esempio, che
alcuni eredi, poco “amanti” dell’arte, mettano in vendita opere d’arte di notevole valore, anche
affettivo, del de cuius, con il solo obiettivo di monetizzare, fattispecie che sicuramente spesso
non rientra nelle volontà del de cuius collezionista;
– permettere un utilizzo prospettico del patrimonio artistico, in caso di necessità economiche
degli eredi del collezionista. In tal caso è spesso volontà del de cuius garantire agli eredi una
“rendita” mediante lo “sfruttamento” delle opere, senza che le stesse vengano, però, cedute (o,
“svendute”, come prospettato nel caso precedente);
– non è raro, peraltro, che vi siano anche dei collezionisti che amino mettere a disposizione
della collettività la propria collezione di opere, avendo la necessità di creare a tal fine dei
contenitori che permettano di raggiungere tale fine in modo coordinato ed efficiente.

Le finalità anzi esposte non possono essere pienamente soddisfatte mediante i – soli – “classici”
strumenti di successione patrimoniale, quali il testamento o la donazione. Ad esempio, in caso di
donazione, il collezionista verrebbe “spogliato” dal potere di effettuare le scelte di investimento/
disinvestimento e, indirettamente, verrebbe anche a mancare il mantenimento in capo allo stesso
del potere di gestire e valorizzare la collezione. Tramite il solo testamento invece non è possibile
iniziare un processo di trasmissione in vita finalizzata ad una successiva gestione unitaria onde
evitare la dispersione dei beni.
È quindi necessario individuare delle alternative.
All’interno dell’ordinamento italiano si possono identificare tre strumenti giuridici particolarmente
interessanti ed utilizzati nell’ambito del passaggio generazionale di collezioni d’arte: la società
semplice, il Trust e la fondazione.
È opportuno precisare che le finalità di cui sopra non possono essere tutte raggiunte
indifferentemente utilizzando uno strumento piuttosto che un altro. Gli strumenti non sono tra
di loro sovrapponibili in toto e consentono di soddisfare solo in parte esigenze uguali. Pertanto,
il supporto di un professionista è fondamentale per accompagnare il collezionista nella scelta del
migliore strumento per il raggiungimento delle proprie finalità, anche analizzando in maniera
approfondita il caso specifico e l’obiettivo che si intende raggiungere.

Società semplice

Lo strumento della società semplice è ampiamente diffuso nell’ambito della pianificazione
e gestione patrimoniale; si ricorda infatti che la società semplice è stata – ed è – diffusamente
utilizzata quale strumento volto a fungere da holding e “cassaforte” di famiglia per una serie
di motivazioni quali – a titolo esemplificativo – semplicità di costituzione, ampia flessibilità
statutaria, semplicità di gestione, mancato assoggettamento a fallimento e alle altre procedure
concorsuali, impignorabilità della quota del socio da parte del creditore particolare del socio
stesso (a condizione che statutariamente sia previsto che il trasferimento della quota possa
avvenire esclusivamente con il consenso unanime dei soci) e, dal punto di vista fiscale, la
possibilità – analogamente a quanto previsto per le persone fisiche – di rivalutare il costo fiscale
di terreni e partecipazioni posseduti (previa riapertura dei termini di volta in volta previsti dalla
normativa di riferimento) e la possibilità di applicare i regimi del risparmio amministrato/gestito
sui redditi finanziari, oltre che la non applicazione della normativa in merito ad IRAP, società di
comodo e studi di settore/strumenti analoghi.
La società semplice può prestarsi ad essere utilizzata come strumento in cui trasferire la collezione
ai fini della gestione della stessa, in quanto assolve pienamente all’esigenza di mantenere
unitaria la collezione e permetterebbe al collezionista di mantenere tutti i poteri gestori sulla
stessa. Inoltre, l’utilizzo della società semplice garantirebbe un’adeguata flessibilità, plasmando
adeguatamente lo statuto, al fine di definire chi tra gli eredi ne dovrà prendere i poteri gestori
(nominandolo quindi amministratore).
In alternativa, la stessa consentirebbe di nominare quale socio-amministratore della società,
con una quota minima, un “fiduciario”, che abbia le competenze necessarie per valorizzare la
collezione (competenze che magari gli eredi non hanno) e di fungere da “ago della bilancia” in caso di disaccordo tra gli eredi.

 

La società semplice, tuttavia, deve essere attentamente valutata con riguardo alla capacità di
definizione di regole di governance finalizzate a mitigare gli effetti di eventuali dissidi che
dovessero insorgere tra gli eredi.
Inoltre, la società semplice non permetterebbe di soddisfare così agevolmente eventuali futuri
bisogni economici differenziati degli eredi, che potrebbero essere soddisfatti valorizzando uno o
più pezzi della collezione.
Infine, dovrebbero anche essere tenute in considerazione le regole della legittima con riguardo
alla possibilità che il patrimonio confluito nella società semplice possa o meno essere destinato
alla sola discendenza e non anche ai vari coniugi dei discendenti.

Trust

Il Trust è un istituto originario dei paesi di Common law riconosciuto nel nostro Paese grazie alla
Convenzione dell’Aja del 1° luglio 1985, nella quale tale istituto viene definito come un rapporto
giuridico istituito da una persona, il costituente – con atto tra vivi o mortis causa – qualora dei
beni siano stati posti sotto il controllo di un Trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine
specifico.
Ai sensi dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja, il Trust presenta le seguenti caratteristiche: a) i beni
del Trust costituiscono una massa distinta e non fanno parte del patrimonio del Trustee; b) i beni
del Trust sono intestati a nome del Trustee o di un’altra persona per conto del Trustee; c) il Trustee
è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o
disporre i beni secondo i termini del Trust e le norme particolari impostegli dalla legge.
In linea generale, il Trust deve necessariamente prevedere:
„- la presenza di un settlor (o disponente) che si spoglia di propri beni per trasferirli ad un altro
soggetto detto Trustee;
– la presenza di un Trustee che riceve detti beni per amministrarli, secondo le disposizioni
impartitegli con l’atto istitutivo di Trust per degli ulteriori soggetti detti beneficiari
(beneficiaries) del Trust o per uno scopo specifico stabilito dal settlor. Si precisa che il Trustee è
tenuto ad utilizzare i beni conferiti in Trust secondo le modalità e le forme individuate nell’atto
istitutivo di Trust (oltre a quelle previste, per l’ipotesi della mancata o contraria disciplina, dalla
legge regolatrice del Trust) e che deve rendere conto della propria attività, oltre che, al termine
del Trust, deve trasferire i beni ai beneficiari, secondo quanto previsto dall’atto istitutivo.
Può essere inoltre prevista, seppur non necessariamente, la figura di un “guardiano” con il compito
di supervisione e controllo sull’operato del Trustee.
I beni conferiti in Trust, e a questo fine trasferiti al Trustee, non entrano a far parte del patrimonio
personale del Trustee, derivandone che i beni del Trust:
– risultano “segregati” in capo al Trustee,
– non sono soggetti alle pretese dei creditori personali del Trustee e
– non rientrano nell’asse familiare e successorio del Trustee.

Peraltro, i beni medesimi, possono essere posti al riparo da eventuali pretese da parte di ulteriori
terzi quali:
– i creditori del settlor/disponente (infatti, salvi i termini e le condizioni di cui alla revocatoria
ordinaria e fallimentare, i beni non sono più di sua proprietà, essendosene questi spossessato
all’atto della costituzione del Trust)
e
– i creditori dei beneficiari, fino a quando essi non ricevano detti beni con successivo passaggio dal Trustee.

 

Con riguardo alla specifica tematica oggetto di disamina nel presente scritto, si evidenzia come lo
strumento del Trust, diversamente dalla società semplice, potrebbe consentire più agevolmente
il mantenimento unitario della collezione e permetterebbe anche di fare fronte efficientemente
alle eventuali esigenze economiche che un domani uno degli eredi potrebbe avere, incidendo
solamente sulla posizione beneficiaria economica di quest’ultimo; infatti, si potrebbero
prevedere situazioni diverse con riguardo ai singoli beneficiari del reddito, disciplinando il
tutto compiutamente all’interno dell’atto istitutivo del Trust. Inoltre, le regole di subentro nelle
posizioni beneficiarie consentirebbero di escludere dal beneficio soggetti diversi dai discendenti
e, altresì, sarebbe possibile definire regole di gestione della collezione.
Per esempio, si potrebbe affidare la gestione della stessa ad uno (o più) eredi aventi le necessarie
competenze, oppure affidare la stessa a soggetti fiduciari. È possibile inoltre prevedere la figura
del guardiano, affinché vi sia una supervisione sulle scelte gestorie della collezione.
In definitiva, l’utilizzo di un Trust può essere, in certi casi, un’ottima soluzione per addivenire
alle finalità che il collezionista d’arte (ma non solo) si prefissa per la successione del proprio
patrimonio.
Questo strumento, tuttavia, è, per i più, di difficile comprensione, in quanto mediante il conferimento
in Trust della proprietà delle opere se ne determina il “definitivo” “spossessamento” in capo al
collezionista (diversamente con la società semplice il collezionista perde la proprietà dell’opera
ma diviene proprietario delle quote della società proprietaria delle opere stesse, quindi ne
diviene/resta “indirettamente” proprietario).

Fondazione

Il terzo strumento a cui si accenna è la fondazione. La fondazione è una organizzazione costituita,
per atto tra vivi o mortis causa, per la destinazione di un patrimonio privato, autonomo e vincolato
ad uno scopo pubblico, altruistico e meritevole di tutela dall’ordinamento (che, nel caso di specie,
risulterebbe essere la collezione d’arte). L’utilizzo della fondazione in tema di pianificazione
patrimoniale del patrimonio artistico della famiglia può risultare interessante poiché è un istituto
che incarna, seppur parzialmente, l’esigenza di costituire vincoli – anche perpetui – ai patrimoni
familiari anche a tutela dei membri della famiglia. Sarà quindi possibile unire i tratti salienti della fondazione (ossia personalità giuridica, segregazione patrimoniale potenzialmente perpetua con vincolo di scopo di pubblica utilità e controllo da parte dell’autorità amministrativa) alla dimensione prettamente individuale e familiare di altri istituti, quale, ad esempio, il Trust di cui sopra. Nello specifico, mediante la costituzione di una fondazione è dunque possibile garantire la fruizione pubblica di un bene privato (quale può essere appunto un’opera d’arte), applicando
le volontà della famiglia così come raccolte nello Statuto della stessa fondazione.
È tuttavia da precisare che la fondazione è uno strumento che presenta delle rigidità: ad
esempio necessita di un controllo di diritto pubblico sullo scopo e sull’utilizzo del patrimonio
di dotazione e di una dotazione iniziale patrimoniale in denaro che consenta lo svolgimento
e il proseguimento delle attività propedeutiche alla realizzazione dello scopo individuato dal
fondatore/collezionista.

Considerazioni conclusive

In conclusione, trasferire le collezioni d’arte in favore dei propri eredi – coniugando anche
e soprattutto le finalità che il collezionista si è prefissato, in particolare evitare la dispersione
di valore e mantenere l’unitarietà della propria collezione – è possibile mediante l’utilizzo
e l’implementazione di una serie di strumenti, fra cui spiccano quelli sopra analizzati (società
semplice, Trust e fondazione).
Come i collezionisti sanno, ogni opera d’arte è unica e diversa dalle altre e, per contro, come i
professionisti sanno, ognuno di questi strumenti è unico e diverso.
A monte è quindi necessario un percorso ed un confronto fra collezionista e professionista così
da poter comprendere quali sono le effettive esigenze, finalità e priorità e modellare così un
“vestito su misura” per soddisfare le necessità diverse del cliente-collezionista, tenendo peraltro
conto anche dei diversi profili fiscali che investono le singole scelte.

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